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TARGET 132/2020: COSA CI HA INSEGNATO E CI STA INSEGNANDO IL COVID?

La pandemia legata al Covid-19 e la sua diffusione a livello mondiale, qualcosa che mai avremmo immaginato di vivere, è entrata prepotentemente nelle nostre vite da ormai sette mesi e continua, purtroppo, a dettare ritmi e modi di vivere il nostro quotidiano, causando inoltre ingenti e gravissime perdite, umane ed economiche. Questa lotta impari verso un nemico che, in fondo, conosciamo poco, e che stiamo riprendendo a combattere dopo qualche mese di parziale normalità, cosa ci ha insegnato?

Probabilmente, fra tutte, quattro cose:

L’importanza della solidarietà: l’abbiamo vista da subito quando, all’improvviso, ci siamo ritrovati a dover restare chiusi in casa, limitando uscite e spostamenti al minimo e per tempi brevissimi. Molte persone si sono trovate in difficoltà, specie se affette da patologie invalidanti o disabilità, senza un nucleo familiare cui appoggiarsi con continuità o private improvvisamente di ogni forma di reddito. È stato allora che è emerso il meglio della nostra società civile: non solo associazioni di volontariato già presenti nei vari territori e strutturate, dotate di una buona capacità organizzativa, ma anche semplici cittadini che si sono messi a disposizione del prossimo o si sono organizzati in autonomia, dando una mano a vicini di casa o concittadini sconosciuti, portando loro beni di prima necessità e farmaci.
Sostegno pratico, sostegno morale, donati con empatia e gratuità, perché non dobbiamo dimenticare che questa pandemia ha messo e sta mettendo a dura prova anche il nostro equilibrio emotivo e psicologico, visto come siamo stati privati delle nostre abitudini, della nostra routine, dei nostri punti fermi. Ciò cui abbiamo assistito è stata una spontanea, toccante e profonda dimostrazione di umanità in un frangente in cui sarebbe stato facile chiudersi in sé stessi e pensare solo al proprio benessere e a quello delle persone più prossime.

L’indispensabilità di avere un buon Sistema Sanitario Nazionale: il nostro Paese ha sicuramente molte pecche e difetti, alimentati da mala gestione e corruzione, e il nostro Sistema Sanitario Nazionale, che a lungo è stata un’eccellenza mondiale, risente sicuramente di anni di tagli e speculazioni, ma ha dimostrato comunque quanto sia indispensabile. Migliaia di persone sono state curate e accudite per mesi con un impegno e una dedizione, da parte di medici e sanitari, che sono andati ben oltre il semplice dovere professionale. Molti pazienti, trovatisi a fronteggiare un’esperienza devastante, privati forzatamente della vicinanza dei propri affetti, hanno raccontato dell’umanità, dell’attenzione, della vicinanza ricevuta, fosse anche il piccolo ma –in quel momento- fondamentale gesto di essere aiutati a fare una videochiamata ai loro familiari, unico contatto possibile.
Oggi più che mai è necessario investire risorse nella Sanità: ampliare e rimodernare le strutture, formare nuovi operatori e aumentare il numero di assunzioni, prevedere retribuzioni più adeguate e commisurate a un carico di lavoro e responsabilità elevato.

La tutela e la concretizzazione dei diritti fondamentali sono un investimento. La Sanità, la Scuola, il Lavoro: questi tre ambiti, la loro tutela e la loro eccellenza dovrebbero essere la bussola che guida ogni scelta politica, nazionale e internazionale. Tutte le somme per migliorarli e potenziarli dovrebbero essere viste non come spese, bensì come un investimento che, sul lungo periodo, darà i suoi frutti. Pensiamo –col senno di poi è facile fare delle considerazioni e trarre conclusioni- se, come detto, si fossero investiti più soldi nelle strutture ospedaliere e nelle assunzioni di personale: avremmo, forse, avuto possibilità maggiori di separare i reparti, diminuendo il rischio di infezioni, e evitare turni massacranti. Se il nostro sistema scolastico fosse stato più moderno e improntato al digitale, nel suo complesso e non solo in date zone, la DAD forse sarebbe risultata meno problematica; idem per il ricambio generazionale degli insegnanti: ad oggi, molti di loro rientrano nella categoria dei soggetti fragili solo per via dell’età, problema che si è presentato in tutta la sua drammaticità a settembre, con tante cattedre vuote. Il lavoro si è rivelato un altro punto debole: la mancanza di regolamentazione per svolgerlo, dove possibile, da remoto, la sfiducia diffusa nelle forme di home working o smart working anziché il loro potenziamento e la loro diffusione, la mancanza di una vera e propria cultura digitale, han fatto sì che molte aziende si siano dovute forzatamente fermare o continuare le attività, se consentito, mettendo però a rischio la salute dei loro dipendenti, specie nel caso di pendolari o comunque di utilizzo, per necessità, di mezzi pubblici.

Gli ultimi restano ultimi. La pandemia ha fortemente indebolito economicamente molte persone, privandole delle risorse necessarie per acquistare beni fondamentali, indispensabili. Accanto a loro, la categoria dei così detti “ultimi” è stata ulteriormente penalizzata. Senzatetto, senza fissa dimora, soggetti impossibilitati ad accedere al SSN poiché privi di cittadinanza, sono stati colpiti duramente: oltre a non avere un rifugio dove mangiare, dormire e provvedere all’igiene personale (diverse strutture sono state chiuse durante il lockdown), non avere accesso alle cure, sono stati i maggiormente esposti al rischio di contagio (con annessa e conseguente diffusione dello stesso) proprio a causa delle loro condizioni di vita. Ancora una volta il volontariato si è mosso in più direzioni, con un grande dispiego di forze e risorse, ma viene da chiedersi cosa ne sarà di queste persone ora che siamo a un passo dell’inverno e agli albori di una seconda ondata.

Tirando le somme, il Covid, la pandemia, dovrebbero averci insegnato o insegnarci a farci riscoprire valori quali l’empatia, la vicinanza e l’attenzione verso il prossimo, la consapevolezza che è fondamentale investire in tutti quegli ambiti che sono a servizio della collettività e che di fronte alla malattia, che non guarda in faccia a nessuno, siamo tutti uguali e dovremmo godere delle stesse opportunità di cura.

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EMERGENCY E L’EMERGENZA COVID: ESSERCI PER TUTTI, NESSUNO ESCLUSO…

Come si è adoperata, in Italia, Emergency di fronte all’emergenza Covid?

Ci siamo mossi su più fronti, considerando che c’erano criticità non solo nel settore ospedaliero, con le strutture fortemente sotto pressione, se non al collasso, ma anche in vari ambiti della collettività, con ripercussioni dirette e importanti sul quotidiano dei cittadini e dei così detti “ultimi” e “invisibili”, ossia persone prive dell’accesso alle cure perché in stato di povertà, migranti senza uno status definito, senza tetto.

Per far fronte all’emergenza ospedaliera, ci siamo messi a disposizione a Bergamo: in tempo record, presso la Fiera è stato allestito un polo riservato ai malati di Covid. Un risultato strepitoso nato dalla collaborazione e dalla sinergia di più soggetti che si sono adoperati in modo del tutto gratuito, lavorando instancabilmente. Gli Alpini e gli artigiani bergamaschi, partendo da un capannone, hanno predisposto una struttura efficiente, attrezzata, che nulla aveva da invidiare a un ospedale vero e proprio: l’hanno allestita ad hoc, seguendo i suggerimenti dei nostri logisti per assicurare il massimo della praticità e della sicurezza, in osservanza dei protocolli anti-contagio, per tutelare tanto il personale quanto i pazienti stessi.

Successivamente, uno staff medico di Emergency ha preso in carico il reparto di Terapia Intensiva predisposto, seguendo i pazienti dal punto di vista medico e anche, per così dire, emotivo, aiutandoli a mantenere i rapporti con i familiari, tramite videochiamate, o informando le famiglie circa il decorso della malattia.

Due mesi intensi, faticosi, affrontati con professionalità, umanità, empatia e rispetto della persona.

Sempre nella provincia di Bergamo, nei comuni di Verdellino, Levate, Ciserano e Osio Sopra, è stato avviato un progetto volto a strutturare e realizzare un vero e proprio programma di educazione alla prevenzione della diffusione del virus a ridosso della riapertura di servizi indispensabili come i trasporti, gli uffici pubblici, i centri estivi.

Un’attività utile non solo nell’immediato, ma soprattutto in prospettiva, per informare e formare il personale preposto circa l’igienizzazione dei luoghi pubblici, il gestire in modo più efficace l’accesso ai servizi sociali, supportando così il lavoro delle aziende sanitarie, con l’obiettivo finale di creare un punto di coordinamento per fronteggiare l’epidemia a partire dai piccoli territori.

Le RSA sono state, come sappiamo, duramente colpite dalla pandemia: molti soggetti fragili ospitati spesso non ce l’hanno fatta, così come il personale che, pur diligente nello svolgimento del proprio lavoro, era impreparato a gestire una situazione simile.

Per questa ragione, in collaborazione con la Regione Piemonte, ci siamo messi a disposizione per un percorso formativo volto a mettere in sicurezza tanto le strutture che i loro operatori, partendo dall’individuare quelle maggiori gestite da Enti che, successivamente, potessero prendere in carico altre strutture aderenti al progetto e fungere da punto di riferimento, creando una vera e propria rete.

Si è partiti dalle planimetrie delle varie strutture, individuando criticità e migliorie, studiando percorsi all’interno delle stesse, formando poi il personale sulle procedure di sanificazione, sull’utilizzo corretto dei DPI, sulla vestizione e svestizione e, soprattutto, sulle modalità di trasmissione del virus. Tutte azioni aventi come obiettivo non solo la prevenzione del contagio, ma anche il dare informazioni che permettessero un approccio al lavoro più consapevole e, quindi, sereno, così da limitare stress e paure.

Il progetto “Nessuno escluso” è partito da Milano, con la collaborazione del Comune e delle Brigate Volontarie, per poi replicarsi in diverse città d’Italia. Scattato il lockdown, ci è organizzati, con l’ausilio di oltre 700 volontari, per consegnare generi alimentari, beni di prima necessità e farmaci a soggetti fragili, in difficoltà a causa di patologie croniche o invalidanti o costretti in casa dalla quarantena. Le persone potevano chiedere il nostro intervento contattando il centralino allestito presso la nostra sede.
Una volta che gli esercizi commerciali hanno potuto organizzarsi con le consegne a domicilio, è emersa una seconda e preoccupante necessità: molte persone si sono trovate con un’entrata ridotta o azzerata, arrivando a fatica a fine mese, razionando il cibo. Una cosa che, in una città come Milano, era difficile anche solo immaginare. Ci si è perciò “presi in carico” queste persone, assicurando loro –ed è stata questa la grande sfida- non una consegna una tantum, ma regolare, anche settimanale, di beni alimentari e di prima necessità, seguendo inoltre l’evolversi della situazione, come ad esempio l’avvenuta ripresa del lavoro o la concessione di sussidi statali. Quello che molti destinatari dell’iniziativa hanno sottolineato è che non solo, pur trovandosi in una situazione di indigenza, si sono visti trattare in modo rispettoso e dignitoso, ma anche il “rituale” della consegna del pacco e della visita dei volontari li faceva sentire visti, considerati e non abbandonati a se stessi in un momento di estrema difficoltà.

Altri progetti hanno riguardato centri minori come Castel Volturno, dove la metà degli abitanti sono stranieri. La priorità era informarli circa la necessità di restare a casa e evitare comportamenti che potessero alimentare il contagio, come ad esempio non indossare dispositivi di protezione soprattutto nel caso, molto frequente, di spostamenti collettivi su pullmini, essendo difficile che le persone possedessero un mezzo proprio. A tal fine sono stati istituiti linee telefoniche e gruppi Whatsapp per fornire consulenza medica e dare più informazioni possibili su come contenere la diffusione del virus; sono stati svolti anche diversi incontri formativi in collaborazione col “Movimento Migranti e Rifugiati” della cittadina, seguiti da oltre seimila stranieri.
Sul piano dell’assistenza alimentare, si è creata una vera e propria rete di solidarietà riunita sotto il nome di Castel Volturno Solidale”, cui hanno aderito la Caritas, i Comboniani e il Movimento migranti e rifugiati, in collaborazione col comune.

In Abruzzo e nelle Marche, dove all’interno del Programma Italia prestiamo servizi di supporto psicologico alle vittime del sisma, abbiamo portato avanti tale attività tramite sedute via Skype, in modo da garantire la sicurezza degli operatori e dei pazienti stessi, che rivivevano il trauma del terremoto facendo un parallelismo tra il silenzio seguito alla disgrazia e quello imposto dal lockdown. Su richiesta dell’Azienda ospedaliera, inoltre, abbiamo istituito un progetto mirato dedicato ai pazienti Covid, malati o dimessi, ai loro familiari e al personale sanitario interno dell’ospedale di Camerino.

https://www.emergency.it/cosa-facciamo/risposta-covid/

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…ANCHE FUORI DALL’ITALIA.

In Sudan, che soffre di un’enorme instabilità politica ed economica, l’arrivo del Covid-19 ha ulteriormente peggiorato la situazione. Anche se a marzo il Sudan era ancora ritenuto Covid-free, era chiaro che prima o poi sarebbe arrivato ovunque. Poco dopo, infatti, le autorità sudanesi hanno iniziato a introdurre le prime misure di restrizione e a distanza di qualche giorno è stato dichiarato il lockdown totale con il divieto di movimento delle persone e di transito da Stato a Stato. I movimenti da e per i nostri Centri pediatrici a Port Sudan e a Nyala sono stati interrotti. Il centro di cardiochirurgia di Kartoum è sempre rimasto aperto e fin da subito sono stati introdotti tutti i dispositivi e le procedure di protezione per lo staff e per i pazienti. È stato predisposto il triage all’ingresso dell’ospedale, controllando tutti quelli che entravano, monitorando costantemente la temperatura e la sintomatologia, fornendo a tutti una mascherina protettiva, aumentando le postazioni di lavaggio mani e le procedure di igiene. Non è stato semplice lavorare: chi riusciva ad arrivare si presentava al Centro Salam in condizioni cliniche disperate.
In tutto il Paese l’assistenza sanitaria è stata drasticamente ridotta: molti ospedali sono stati chiusi e, a causa delle carenze intrinseche del sistema sanitario nazionale, non è stata data una risposta strutturata e univoca alla pandemia. La chiusura degli aeroporti ha, inoltre, impedito gli spostamenti dei pazienti del Programma regionale e ha complicato la gestione dello staff internazionale. Da quando il governo ha deciso di chiudere tutti i voli commerciali, l’organico, che normalmente prevede 50 internazionali, mese dopo mese si è ridotto, fino ad arrivare a 30, con tante difficoltà di riorganizzazione del lavoro per tutti.
A fine giugno, una nuova ondata di manifestazioni popolari nelle principali città del Sudan si è aggiunta all’emergenza Covid-19, riaccendendo l’instabilità politica. Nonostante la situazione complessa, l’ospedale è rimasto aperto, grazie al supporto di tutto lo staff che continua a mettercela tutta per garantire il diritto alle cure.

In Afganistan, la guerra non si ferma (in Helmand continuano proprio in questi giorni gli scontri tra forze di sicurezza afgane e talebani). Con l’emergenza sanitaria per il Covid-19, i possibili effetti della pandemia sono subito stati presi in considerazione. Per tutelare lo staff e i pazienti, le attività degli ospedali sono state riorganizzate così da adeguare le procedure di igiene e sanificazione, introdurre regole di compartimentazione, definire al meglio le misure di prevenzione e tutti i flussi di sporco-pulito.
A metà luglio i dati disponibili parlavano di poco più di 35 mila persone contagiate e circa 1.100 decedute a livello nazionale. Questi dati tuttavia sottostimano i numeri reali, a causa dell’assenza di registri nazionali di decessi e del numero limitato di persone sottoposte al tampone – solo 83 mila su una popolazione di 38 milioni. A giugno, il ministro della sanità afgano ha dichiarato che il sistema sanitario pubblico non era più in grado di testare la popolazione a causa della carenza di tamponi: da quel momento gli afgani avrebbero dovuto rivolgersi a laboratori privati a pagamento.
Molti ospedali e strutture sanitarie non hanno i dispositivi di protezione necessari e il personale medico non è sufficientemente formato.

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100VETTE: SIAMO A 63!

Giuliano ha raggiunto il Pizzo San Martino, nel lecchese, il 25 Ottobre!

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IDEE CHE FANNO BENE

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Si è tenuto dal 12 al 15 Ottobre l’evento on-line IDEE CHE FANNO BENE: UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA, UNA SOCIETÀ PIÙ SANA. Medici, filosofi, attori, giornalisti, scrittori, comici hanno raccontato gli effetti del considerare la salute un bene di mercato e l’enorme potenziale del viverla come un diritto.

Tutti gli interventi sono disponibili alla pagina https://www.emergency.it/idee-che-fanno-bene/

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SOSTIENI EMERGENCY!

Tutte le info alla pagina https://www.emergency.it/sostieni-emergency/

 

 

 

 

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