1 aprile 2021: si è conclusa la 82ma missione della Open Arms, con a bordo personale di Emergency. Dopo tre missioni di salvataggio nelle acque di competenza maltese, il bilancio è di 219 le persone tratte in salvo, tra cui 151 uomini, 56 minori (di cui 17 con meno di 10 anni) e 12 donne.
Accanto alla soddisfazione, rimane anche un bel po’ di amaro in bocca: gli avvisi di imbarcazioni in difficoltà sono stati moltissimi, ma dopo ore di navigazione per raggiungere i naufraghi e prestare loro soccorso, una volta giunti alla posizione indicata spesso le imbarcazioni risultavano sparite nel nulla, riportate di fatto indietro dalla cosiddetta guardia costiera libica.
Lo confermano i dati dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), secondo i quali in un solo weekend sono state 1000 le persone intercettate e respinte in Libia, un paese non sicuro, in cui le violazioni dei diritti sono costanti e la violenza è strumento di estorsione e ricatto.
Le navi umanitarie, in questo contesto, restano gli unici avamposti di tutela, l’unica voce di chi non ha parola, l’unica forma di denuncia, l’unica speranza perché si torni a credere nell’eguaglianza e nella legge.
Leggi il comunicato stampa completo.
Emergency è a bordo della Open Arms da Agosto 2020, per garantire l’assistenza medica a bordo.
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LA REALPOLITIK: PRAGMATICA E IPOCRITA
In queste settimane l’Italia e l’Europa si sono improvvisamente destate da un lungo torpore per accorgersi che c’è un “problema Mediterraneo” da affrontare.
“Problema Mediterraneo”: questi i termini utilizzati per descrivere l’ondata migratoria che da anni ormai parte dal sud del mondo fino a spingersi ai confini più estremi dell’Occidente, in maniera incontrollata e incontrollabile, causando migliaia di vittime, di morti, e dando a chi sopravvive prospettive di sfruttamento, maltrattamento, negazione di dignità e tutela con il risultato finale –scontato quanto ignorato- di ingrossare le fila della criminalità.
Non è certo una scoperta di oggi che dove lo Stato, i diritti, la legalità mancano, la criminalità prospera. E guadagna.
“Problema Mediterraneo”: due parole che racchiudono violenze, torture, drammi e persecuzioni di essere umani, vite stroncate e violate.
Non si è parlato di persone, di esistenze, di storie disumane. Ma di un “problema”.
Il Presidente del Consiglio italiano Draghi è volato in Libia per congratularsi per la gestione dei migranti e ringraziare per le numerose vite salvate, sottolineando che è un momento storico per “rinsaldare i rapporti di amicizia”.
Tradotto: il governo di Abdel Hamid Dbeibah, che traghetterà il Paese verso le elezioni programmate per il 24 dicembre, intende ripristinare i collegamenti aerei civili col resto d’Europa e del mondo e rilanciare, di conseguenza, l’export.
Necessario, dunque, essere in prima fila e presentarsi come partner amichevoli, affidabili, disponibili e persino riconoscenti in vista di non troppo lontani accordi economici.
Del resto la Libia, dopo un lungo periodo in cui ha vissuto l’anomalia di avere due governi in opposizione tra loro, è tornata appunto sotto un’unica autorità, sebbene il campo non sia sgombro da terzi attori: i militari turchi, inviati per sostenere Fayez-al-Serraj, continuano a controllare la base aerea di al-Watiya; mentre la compagnia russa Wagner, schierata con Khalif Haftar, presidia Sirte e la zona circostante, avendo oltretutto un muro lungo oltre 70 metri.
Cosa manca, o cosa sfugge sarebbe meglio dire, alla narrazione del Presidente Draghi?
Probabilmente il fatto che non sono state salvate vite ma, piuttosto, sono state soppresse lontane dai nostri occhi, che comunque iniziavano ad abituarsi ai naufragi pressoché giornalieri, alla straziante conta dei ripescati, dei cadaveri e dei dispersi, alle storie piene di dolore e speranze stroncate narrate dagli oggetti trovati addosso a chi è stato strappato alle acque ma non alla morte: documenti, nomi, persino pagelle coi voti scolastici nel caso di bambini.
Chi è stato “salvato” dalla Guardia Costiera libica, da noi sostenuta economicamente, è stato semplicemente, brutalmente, riportato nell’inferno da cui era fuggito.
È stato rinchiuso in “centri di accoglienza” che in realtà sono veri e propri carceri, lager, luoghi di tortura e violenza, dove i diritti fondamentali non esistono. Come non esiste la sacralità della vita, la dignità umana, la loro tutela. Torture, stupri, pestaggi.
Sono vite salvate, queste? O sono vite mandate verso morte certa, ma ben nascosta?
Nei lager libici –questo è il loro nome corretto- spesso non hanno accesso nemmeno i funzionari dell’UNHCR. Pochi giorni fa, l’inviato Onu a Tripoli ha riferito al Consiglio di Sicurezza che attualmente ci sono quasi 4.000 migranti in centri di detenzioni ufficiali, quindi gestiti e legittimati dal governo libico, tenuti in condizioni estreme, senza un giusto processo e con restrizioni all’accesso umanitario.
Amnesty International nel suo ultimo rapporto ha confermato che molte persone vengono trattenute nel Paese al fine di “controllare e contenere il presunto assalto di migranti africani”.
La stessa Emergency, commentando la visita di Draghi, non ha mancato di ricordare che stando al Report 2020 della Commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa “l’arretramento nella protezione delle vite e dei diritti dei rifugiati e dei migranti sta peggiorando e causa migliaia di morti evitabili ogni anno. Eppure tutto questo non basta alla politica italiana per evitare di stabilire alleanze con un Paese coinvolto in sparizioni forzate di rifugiati e migranti trasferiti in centri di detenzione non ufficiali”.
Alle dichiarazioni, si aggiungono i numeri, impietosi: 10 anni di instabilità (dalla caduta di Gheddafi) di cui 8 di guerra civile; su 6,7 milioni di persone, 1 milione sono quelle che necessitano di assistenza umanitaria; gli sfollati interni sono 278.000; il PIL, tra il 2011 e il 2020, ha subito un crollo pari al -72% (fonte: ISPI, Istituto Per gli Studi di Politica Internazionale).
Nel frattempo, Von der Leyen e Michel si trovavano ad Ankara, in visita a Erdogan, con l’obbiettivo di rinnovare l’accordo sull’immigrazione che ha fruttato alla Turchia miliardi e liberato l’Europa dal doversi occupare di migliaia di profughi, oltre a trovare una quadra circa la presenza di truppe turche in Libia.
Un incontro che ha fatto più notizia per forma e dinamiche che per i contenuti: la sedia mancante per la Presidente della Commissione Europea, il mancato gesto di solidarietà del Presidente del Consiglio europeo che ha preso posto come nulla fosse e l’indignazione mondiale di fronte all’arroganza di Erdogan.
Indignazione che non è né risuonata in modo altrettanto forte nel momento in cui la Turchia si è ritirata dalla Convenzione contro la violenza sulle donne, però.
Draghi, commentando l’episodio, ha definito Erdogan un dittatore, salvo, pochi secondi dopo, aggiungere che tuttavia è necessario cooperare e collaborare con lui.
In pochi giorni, Italia e Unione Europea hanno dato prova di pragmatismo e ipocrisia, i due elementi storici della realpolitik.
Si rivendica l’uguaglianza di tutti gli individui, l’inviolabilità dei diritti umani, l’importanza dei valori su cui l’UE stessa si è fondata ma poi, di fatto, si stringe la mano e si ringrazia un governo che consente e favorisce violenze e torture e si considera un indispensabile interlocutore un dittatore le cui posizioni, scelte e azioni non hanno nulla a che fare coi valori di cui ci diciamo fieri e professiamo difensori.
L’Egitto, che sempre nel Mediterraneo si trova, completa il quadro.
Continuiamo a fare affari e interloquire con un Paese che tra depistaggi, occultamenti, menzogne e ostruzionismo, ha impedito e impedisce di fare giustizia per la morte violenta, ingiusta e ingiustificabile di Giulio Regeni. Un’assoluta mancanza di rispetto verso l’Italia e le sue istituzioni, che tuttavia non han fatto certo la voce grossa, né proferiscono parola o prendono posizione netta e forte contro l’immotivata detenzione di Patrick Zaki, continuamente prorogata a ogni scadenza, a dispetto delle norme internazionali.
Ecco chi sono i nostri interlocutori, i nostri partner commerciali o presunti tali nel momento in cui pare che la Libia possa rialzare la testa.
Tutto quello che, come nazione e comunità europea, stiamo inseguendo in termini di guadagno economico e potere, vale davvero ciò che stiamo permettendo si calpesti, ignori, sacrifichi?
Siamo certi che quel che oggi si acquisisce sulla pelle di disperati, domani non richiederà il sacrificio o la negazione della nostra di libertà e dignità?
E, soprattutto, davvero c’è da essere grati e soddisfatti?
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NEL FRATTEMPO…
Il Senato a votato a favore per concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, ma il Presidente del Consiglio Draghi ha chiaramente indicato che “È una iniziativa del Parlamento, il Governo al momento non è coinvolto”.
Leggi l’articolo di Lorenza Ghidini, Radio Popolare
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LA LIBIA RIMETTE IN LIBERTÀ BIJA
Poliziotto-trafficante di uomini, un volto ben noto alle autorità italiane.
Ne parla Nello Scavo, in questo articolo sul quotidiano Avvenire.
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RICORDA LA TESSERA DI EMERGENCY!
https://www.emergency.it/tessera/